Nuova Lega Pro vecchia politica?
Dopo il rigetto dei ricorsi presentati al Tar Lazio da parte di Figline e Sangiustese è arrivato il giorno 4 agosto 2010, data che il Consiglio Federale della Figc ha individuato per la ufficializzazione dei ripescaggi in Serie B e Lega Pro, Prima e Seconda Divisione
Ecco l’elenco delle squadre le cui istanze di richiesta di accedere alla categoria superiore sono state accolte dal massimo Organo Federale del calcio:
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Serie B: Triestina;
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Lega Pro Prima Divisione: Barletta, Bassano, Siracusa, Paganese, Gela, Nocerina, Pisa, Pavia.
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Lega Pro Seconda Divisione: Avellino, Bellaria, Campobasso, Carpi, Carrarese, Casale, Entella,Latina, L’Aquila, Matera, Pomezia, Pro Belvedere ( che tra pochi giorni assumerà la denominazione “Pro Vercelli”), Renate, Sanremese, Trapani, Vigor Lametia.
Quanto alla composizione dei gironi il Consiglio Federale ha deciso con riferimento alla Prima Divisione, in maniera avveduta, di tornare alla divisione Nord/ Sud e non a quella longitudinale Est/Ovest che implicava un ingente spreco di energie e risorse patrimoniali da destinare alle trasferte ( ci saranno difficoltà solo per Paganese, Salernitana e Sorrento inserite nel girone settentrionale solo per ragioni di ordine pubblico di cui parlerò nei prossimi editoriali).
Ed, infatti, pensare che, in tempi di difficoltà economica generalizzata, una società potesse continuare a sostenere spostamenti dispendiosi al capo opposto dell’Italia, viaggiando praticamente tutto il fine settimana, rappresentava un controsenso che non trovava alcuna logica giustificazione proprio perché avulso da un contesto di “commercializzazione” del prodotto “Lega Pro”.
La ratio, invece, avrebbe dovuto esser quella di avvicinare le società di Terza Serie alla categoria cadetta e, di conseguenza, di rendere il Torneo più spettacolare, grazie alla divisione verticale dei gironi che, secondo la Federcalcio, avrebbe dovuto garantire un maggior afflusso di spettatori agli stadi e creare maggior interesse negli investitori commerciali.
Tuttavia, solo a posteriori, i “politici dello sport” si sono resi conto che i problemi, per le società della ex Serie C, non erano dettati tanto dai costi per viaggiare che, peraltro, erano i medesimi della Serie B, ma dagli introiti notevolmente ridotti, rispetto alla seconda serie, per un campionato ( la Lega Pro) che poco interessava (ed interessa) a sponsors e televisioni.
Come al solito si è pensato di creare interesse intorno alla Terza Serie con mere operazioni di facciata che, alla prova dei fatti, hanno dimostrato tutta la loro pochezza, come appunto il cambiamento del nome da Serie C a Lega Pro oppure della presentazione, il mese scorso, del pallone ufficiale con cui giocare le gare di campionato.
Iniziative sicuramente interessanti ma poco efficaci, da un punto di vista mediatico, perché non inserite in un contesto ed in un programma di evoluzione del calcio professionistico orientato alla commercializzazione dello “spettacolo”, quanto piuttosto volte alla conservazione di un modello sportivo ormai superato.
Si sarebbe dovuto cambiare la sostanza e non l’apparenza, perché fintanto che la Lega di Serie C ( la chiamo ancora in questo modo perché appunto è l’essenza che conta) non muterà la strategia politico-sportiva, le società partecipati ai campionati di Lega Pro faticheranno sempre ad arrivare alla fine dei tornei che continuano a suscitare nel pubblico scarso interesse, perché non adeguatamente pubblicizzati mediante un’ opera di marketing all’avanguardia.
Forse in pochi ai vertici delle Istituzioni si sono accorti che il “core business” delle società di calcio è divenuto l’”intrattenimento” degli spettatori la cui attenzione ad una manifestazione sportiva è il solo grimaldello per attirare sponsors importanti.
Quello che fatico a comprendere è oggi il ruolo della Lega Pro che, essendo ente di natura privatistica di tutela delle società ad essa affiliate, investe risorse in modo poco incisivo nella promozione di questo campionato che, dopo tutto, annovera tra le partecipanti società gloriose come Pisa, Verona, Foggia, Catanzaro e Salernitana.
Ritengo che, se non si riesca a trovare spunto per creare interesse in un torneo dove militano compagini tanto importanti che hanno giocato in serie A, il problema sia nei vertici e non solo nelle società che, a fine stagione, annaspano proprio perchè sono gli apici delle Leghe a decidere le strategie corporative.
La scorsa stagione sportiva ci sono state partite di Play Off e una finale di Coppa Italia di Lega Pro di altissimo livello che, purtroppo, sono passate quasi inosservate a livello nazionale a causa di una inefficacie strategia di comunicazione: la responsabilità, ovviamente, non è certo delle squadre che hanno partecipato a suddette manifestazioni ma di chi le ha organizzate e gestite.
Non mi stupisco, infatti, che la Lega Pro sia poco considerata a livello commerciale e non sia rappresentata, a differenza di Serie A (Tim) e Serie B ( Bwin), da un main sponsor che si identifichi nel campionato di terza serie poiché NULLA offre alle aziende in quanto a visibilità la Lega di Serie C.
E se da una parte condivido quanto dichiarato dal Presidente Macalli in merito al fatto che fare calcio non sia un obbligo, dall’altra mi preme sottolineare che compito delle Leghe non è solo quello di fare da censore per l’iscrizione ai campionati, ma anche quello di “vendere” uno spettacolo ed, in questo senso, i risultati parlano molto chiaro: la Lega Pro interessa pochissimo.
Mi sorprendo di chi oggi lancia previsioni catastrofiche per il prossimo campionato e non si preoccupa di correre ai ripari con iniziative di politica sportiva volte a creare ricchezza per le compagini partecipanti al campionato di Serie C affichè queste possano trarre risorse proprio dagli introiti derivanti proprio dalla commercializzazione del marchio “Lega Pro”.
E’ ovvio che, per impostare una politica di tal genere, la Lega dovrebbe virare verso una gestione manageriale da imporre ovviamente anche alle società affiliate le quali, tuttavia, dovrebbero esser poste nella condizione di operare al meglio dal loro organismo tutela che è, appunto, la lega di appartenenza.
Mi chiedo, infatti, che futuro possa avere il campionato di Seconda Divisione che, oltre a prendere il via con gironi ridotti ( uno da 17 squadre e altri due da 16) causa gli alti costi dei ripescaggi, vede ammesse al torneo società che rischiano di pagare in modo assai caro il passaggio dal mondo dei dilettanti a quello dei professionisti proprio perchè non adeguatamente strutturate o comunque legate ad un modello di calcio ormai vetusto.
La situazione è allarmante sicuramente anche se la Lega Pro, per mezzo di una nuova politica manageriale, ha la possibilità di riprendersi dalla crisi che sta attraversando solo rendendo i campionati di Prima e Seconda Divisione appetibili al grande pubblico, così da incentivare gli interessi economici di sponsors che, in questo modo, potrebbero avvicinarsi a queste affascinanti competizioni che meritano ben altre ribalte